Edmund Husserl, Filosofia Prima. Teoria della riduzione fenomenologica, trad. it. di Andrea Staiti e a cura di Vincenzo Costa, Rubettino Editore, Soveria Mannelli 2007

Una parola con la quale indicare e raccogliere molti aspetti relativi alla costituzione interna, e alla ricezione nel tempo del pensiero di Edmund Husserl potrebbe essere il verbo ripensare.

Ripensare è infatti l’attività che Husserl ha svolto con costanza durante tutta la sua attività filosofica. Troviamo testimonianza di ciò anche solo sfogliando le pagine della Husserliana (la collana che raccoglie i manoscritti di ricerca e i testi inediti dell’ideatore della fenomenologia), in essa vi è un continuo ritornare indietro, ogni concetto chiarito viene nuovamente ripreso da un altro punto di vista, nuovamente confrontato e descritto. A volte la descrizione aggiunge tratti essenziali, altre risulta essere identica e nulla di rilevante viene aggiunto alle riflessioni precedenti, spesso sono gli stessi strumenti metodologici e le loro operazioni (come l’epoché e la variazione eidetica) ad essere ridiscussi e ridescritti. Eppure in queste ripetizioni e in questi passi indietro, noi lettori non ci troviamo di fronte a semplici e monotone copie e ripresentazioni di qualcosa di già detto, ogni volta qualcosa sembra accadere, qualcosa ci viene consegnato, forse una esortazione implicita a considerare l’attività del pensare e dell’argomentare come delle attività particolari, quasi innaturali. Del resto che la ridefinizione di uno spazio e di un argomentare filosofico siano stati uno dei problemi centrali della fenomenologia di Husserl è testimoniato proprio delle lezioni appena tradotte e raccolte in questo testo. Esse si aprono proprio con una descrizione dettagliata del percorso da compiere per assumere un atteggiamento filosofico nei confronti dell’esperienza e della conoscenza.

Ad esser costretti, sempre di nuovo, a muovere il nostro argomentare in avanti ed indietro siamo anche noi lettori dinanzi al lavoro di Edmund Husserl, nel tentativo di comprendere questo argomentare e più in generale, il significato e gli obiettivi della ricerca fenomenologica. Proprio a questa attività di ripensamento siamo chiamati ora dalla pubblicazione della seconda parte del corso universitario che Husserl tenne nel 1923-24 e in cui il filosofo cercò di delineare l’idea di una filosofia fenomenologico-trascendentale che ambisce appunto a presentarsi come filosofia prima (p. XII).

In queste lezioni tutti i concetti chiave della fenomenologia vengono presentati nella loro necessità teorica, ma soprattutto si assiste ad un forte lavoro sulla terminologia, mirante a chiarire per opposizioni e somiglianze la direzione verso la quale il metodo fenomenologico deve tendere se vuole descrivere i diversi campi intenzionali e la loro razionalità, ma soprattutto se deve fare emergere la struttura formale di quella esperienza soggettiva e di quel mondo per me a partire dal quale questi campi si costituiscono.

Non sono solo l’epoché, la riduzione, la soggettività, l’Einfühlung ad essere presi in esame, ma anche concetti apparentemente poco problematici come quello di vissuto, di oggetto intenzionale, di intuizione piena e vuota, di esperienza normale ed esperienza folle del mondo, vengono rimessi in discussione e spesso sostituiti da altri termini che espongono l’intera teoria fenomenologica a differenti sviluppi. Proprio perché abbiamo a che fare con un corso universitario, i diversi capitoli hanno la struttura di un laboratorio di esperimenti teorici e si ha l’impressione di non raccapezzarsi più al suo interno, di perdersi in analisi di dettaglio o addirittura di non coglierne il senso filosofico (p. XXVII). A questo bisogna aggiungere che le lezioni sono state a loro volta intergate con alte note, variazioni e critiche di Husserl, il quale in alcuni casi cambia o rigetta degli esempi, in altri sottolinea l’incompletezza o l’inconsistenza di intere argomentazioni (rimandiamo ad esempio agli interrogativi contenuti nella nota integrativa a p. 45) Ancora un indizio, questo, che ci fa pensare che intento della fenomenologia non sia quello di fornire una spiegazione ad un problema filosofico, quanto quello di mostrare le diverse forme del pensare, di costringere il pensiero individuale a mettersi in moto, mostrando che si inizia a fare filosofia nel momento in cui il sapere ingenuo e scientifico nel quale l’individuo vive diventa una sfida, nel momento in cui l’individuo risponde alla provocazione che giunge a manifestarsi per lui (p. XXIX).

Ed è proprio sulla scia del verbo ripensare e di questa strana necessità del pensare filosofico, il quale per fare passi avanti nella chiarificazione dei suoi problemi e dei suoi strumenti, è costretto a fare continuamente dei passi indietro, che vorremmo tratteggiare le linee guida in cui si articolano le lezioni contenute nel testo tradotto da Andrea Staiti (attualmente impegnato nella stesura della sua tesi di Dottorato presso l’Università di Friburgo, presso l’Archivio Husserl) e curato da Vincenzo Costa (autore di recente del saggio Il cerchio e l’ellisse, dedicato al problema della soggettività e della conoscenza evidente nella fenomenologia di Husserl e già impegnato, tra l’altro, nella traduzione delle Lezioni sulla sintesi passiva e nella revisione della traduzione italiana di Idee per fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica).

Le quattro sezioni, quindi, possono essere lette come degli inviti a ripensare ad alcuni concetti chiave della filosofia, a partire dall’idea stessa dell’attività del filosofare.

Proprio ad una descrizione della attività filosofica e del soggetto in quanto filosofo, sono dedicate le lezioni (28-38) che compongono le prime due sezioni del testo. Quale è il senso della pratica filosofica? Che cosa può pretendere dalla propria ricerca? Che tipo di relazione intrattiene l’argomentare filosofico con l’argomentare delle scienze e del senso comune? Secondo Husserl il cuore della pratica filosofica risiede nella particolare posizione occupata dalla soggettività nei confronti del sapere; la conoscenza filosofica nasce nel momento in cui per l’uomo sorge il problema di una suprema e definitiva coscienza di sé (p. 6), quando la comprensione di sé diventa centrale per la comprensione dell’esperienza che l’uomo fa del mondo. L’idea della filosofia, per poter emergere come idea guida teleologica, presuppone, nel soggetto conoscente, una specie di collasso di tutti i valori ingenui della conoscenza e della scienza, vale a dire un collasso conseguente al riconoscimento che tutta la scienza esistita fino a questo momento, per quanto sia degno della più alta stima, soffre di imperfezioni irrimediabili (p.26). Collasso che pone la filosofia in una posizione al limite in cui lo scetticismo si trasforma in follia. L’unica via d’uscita è percorrere questo limite alla ricerca di ciò che permette all’esperienza del mondo e alla conoscenza che ne deriva di essere proprio così e non altrimenti, di essere razionali nonostante tutto. Compito della filosofia sarebbe, quindi, quello di portare in superficie quelle operazioni trascendentali della soggettività che danno fondamento ad ogni conoscenza razionale e di definire il luogo in cui si costituisce il sapere (p. XIX). Proprio in questo senso va letto il richiamo che Husserl fa alla filosofia di Decartes. La fenomenologia cerca di esplicitare ciò che Decartes non ha detto sull’ego cogito. Husserl, in queste lezioni, cerca di aprire un possibile spazio di ricerca filosofica autonomo rispetto alla conoscenza scientifica, il quale si collochi anche al di la di ogni obiezione scettica e tale spazio è la soggettività trascendentale, la quale è l’unica risorsa disponibile di conoscenze immediate e apodittiche, di datiti di esperienza assolutamente indubitabili (p. 51). Spazio in cui è possibile operare la critica universale della mia esperienza […] che spetta a me effettuare, ed è l’unica che mi possa mai spettare (p. 73) Questo campo delle mie esperienze si rivela molto più ampio di quanto io stesso possa immaginare, ma ciò su cui Husserl si sofferma riguarda quella che potremmo chiamare la differenza tra il campo empirico delle mie esperienze e il campo trascendentale delle mie esperienze[1], per chiarire il senso di questo solipsismo nel senso buono del termine (p. 84), il quale accetta la rischiosa evidenza che il mondo c’è per me indubitabilmente grazie alla mia percezione concordante e […] l’esperire estraneo (che Husserl, sempre in queste pagine definisce una percezione mediante interpretazione originaria) è presente per me solo in quanto esperire che si manifesta negli indizi che si offrono attraverso dati mediati bisognosi di una interpretazione, è presente in me sulla base di ciò che esperisco direttamente (p.84). Oggetto della pratica filosofica diventa la struttura dell’esperienza diretta e dell’esperienza in prima persona nel tentativo di chiarire in che modo le nozioni fondamentali della conoscenza, tanto quotidiana che logica e scientifica, quali il concetto di causa, di spazio, di tempo e di cosa materiale, possano manifestarsi.[2] Non a caso la seconda sezione si chiude con una affermazione che annuncia questa nuova ricerca: se il mondo creato, il mondo oggettivo della mia esperienza, viene annientato, io stesso, l’io puro della mia esperienza, non vengo annientato e neppure questo esperire stesso […] una certa esperienza di me stesso è rimasta come residuo, cioè non è stata scossa dalla critica mondana, e se metto fuori circuito il mondo, io stesso non smetto mai di essere dato a me stesso come tema di esperienze e di altri tipi di conoscenza (p. 95).[3]

Ripensare al soggettività significa quindi spostarla dall’anonimato in cui la conoscenza scientifica l’aveva relegata al centro stesso della scena. Ma come pensare questo spostamento?

Questo spostamento viene chiamato riduzione e ad esso è dedicata la terza sezione (lezioni 39-46)

È possibile pensare a questo spostamento, nel momento in cui tutte le forme di conoscenza vengono ripensate a partire dalla soggettività, nel momento in cui ci si chiede: quale forma di soggettività e quale forma di esperienza devono darsi per far si che una certa conoscenza possa apparire e svilupparsi?

Queste lezioni iniziano, quindi, a muoversi nel campo dell’esperienza soggettiva descrivendone la forma e si scontrano immediatamente con il problema della riflessione e dell’esperienza do sé.

Percependo e osservando io non sono diretto (ad esempio) ad una casa. Ma del fatto che sono diretto alla casa […] io non so nulla e questo significa non sono diretto al mio esser diretto verso la casa. Questo accade soltanto nella forma della riflessione, cioè di una percezione di grado elevato. […] Naturalmente quando faccio entrare in gioco la riflessione, il percepire ingenuo dell’io dimentico di sé è già passato. Riflettendo in questo momento, colgo questo percepire ingenuo soltanto in una retrospezione che attinge in ciò che è ancora cosciente nella cosiddetta ritenzione[4], nel ricordo ritenzionale (p. 114-115). La possibilità della riflessione viene in queste pagine, fortemente legata alla possibilità della libertà, in quanto nella riflessione l’io scopre di non essere costretto a seguire ciò che i vissuti gli offrono, ma ha la possibilità sia di osservare disinteressatamente questi vissuti (atteggiamento teoretico) questi vissuti che di prendere posizione nei loro confronti (atteggiamento pratico). Tale disinteresse deve però essere conquistato, in quanto non è un atteggiamento naturale, immediato e la sua pratica viene chiamata da Husserl epoché (p. 137-144). Le ultime lezioni di questa sezione sono proprio dedicate alla descrizione dei diversi percorsi che l’io deve seguire per operare l’epoché a partire dai diversi atti intenzionali (percettivo, rimemorativo, immaginativo) che intende studiare, mentre le prime lezioni della quarta sezione (47-54), preparano il terreno alla riduzione fenomenologica universale come decisione di volontà universale. Attraverso questa operazione il fenomenologo giunge ad inibire tutti i suoi vissuti nel loro complesso (p. 186). Questa inibizione però porta come effetto la indissolubile correlazione tra l’insieme di tutte le esperienze reali e possibili e la connessione infinita dei vissuti della mia coscienza, spingendo infine Husserl a ripensare al concetto di monade. Ciò che caratterizza l’insieme dei vissuti in movimento che è la mia vita, è proprio il fatto che ogni presente di vita racchiude in sé, nella sua intenzionalità concreta, la vita intera e, unitariamente all’oggettualità percettivamente cosciente in questo presente, porta con sé, come orizzonte, l’universo di tutte quelle oggettualità che abbiamo mai avuto validità per me e, in un certo modo, addirittura di quelle che varranno per me in futuro (p.208). Proprio al termine del corso, quando la pratica fenomenologica solipsista ha mostrato tutta la sua forza indicando l’insieme di analisi descrittive che possono essere compiute all’interno del campo di esperienza in prima persona, Husserl riprende il concetto di intersoggettività (lezione 53) per mostrare come la riduzIone trascendentale per mezzo del proprio ego che viene esperito per primo, conduca all’esperienza dell’intersoggettività trascendentale e come la messa tra parentesi del mondo spaziale e, con esso, dei corpi fisici estranei e degli esseri umani estranei non metta affatto fuori gioco gli ego puri estranei con le loro cogitationes (p. 225).


[1] Per un approfondimento di questa tematica rimandiamo al testo di Vincenzo Costa Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2007

[2] In rifermando al problema della cosa materiale, è possibile consultare su internet le lezioni del corso universitario Problemi di filosofia della percezione, di Paolo Spinicci.

[3] Sono proprio queste forme argomentative ad esporre al fenomenologia alle critiche di nuovo idealismo. Per una discussione di questa problematica rimandiamo alla nota introduttiva di Vincenzo Costa al testo Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia trascendentale fenomenologica, Einaudi, Torino 2002.

[4] Il rapporto tra riflessione, autocoscienza e ritenzione viene analizzato ad esempio nel testo di Dan Zahavi Self-Awareness and Alterity. A phenomenological Investigation, Northwestern University Press, Avanston 1999 e nell’ articolo Phenomenological Approaches to Self-Consciousness, http:// plato.stanford.edu/entries/self-consciousness-phenomenological/

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